martedì 30 ottobre 2012

M-app

Qualche tempo fa, qualcuno forse lo ricorderà, ho buttato lì l'idea di sviluppare un'applicazione per creare mappe.
La faccenda ha acquistato un po' di concretezza in questi mesi e, tra un impegno e l'altro, mi sono dato da fare per trasformare l'idea in un progetto.
Con l'aiuto di un paio di amici ci siamo messi sotto per tirare su un prototipo, che spero venga pronto tra qui e le vacanze di Natale.

Sto disegnando le icone dell'app. Niente male per un ingegnere eh?

L'idea che ci guida è di mettere su app Store una versione gratuita del tool, che consenta, seguendo la filosofia dei vari tool per game master di LGQ, di disegnare mappe dall'aria artigianale.
Non abbiamo ambizioni di generare grandi ricchezze. Se la cosa dovesse incontrare un minimo di successo potremmo forse considerare di aggiungere alcuni set di icone a pagamento, ma insomma, ci stiamo ancora ragionando.

Vi terrò aggiornati sugli sviluppi. Nel frattempo ho rispolverato la mia tavoletta grafica e mi sto divertendo parecchio.

venerdì 12 ottobre 2012

Un modello stantio

Lo so che di questi tempi è troppo facile sparare ad alzo zero sul sistema Italia. Ma tant'è, mi metto in fila anch'io.

Isometric retrogaming roomset
Da "Army of Trolls"
Leggo su EDGE un articolo che parla dell'Italia. EDGE è una rivista di videogiochi britannica, con un taglio "insider" e un linguaggio sofisticato. E' molto attenta al mercato europeo, con articoli dedicati agli studi più promettenti della scena scandinava, tedesca, francese. Persino polacca, per dire.
Negli ultimi due anni non ricordo un solo articolo sull'Italia, mercato ricco in termini di consumo e miserrimo in termini di sviluppo. Tanti marketeer, venditori, retailer, nel nostro paese. Anche se non mancano dei generosi tentativi, i game studios alla ribalta del mercato globale sono pochissimi. Forse nessuno degno di tal nome. Insomma, al solito, tante cravattone e pochi occhiali spessi.
Sull'ultimo numero della rivista dicevo, a interrompere la serie negativa, ecco finalmente un bell'articolo di due pagine su un'iniziativa tutta italiana. Che bello, mi dico, qualcosa si muove, e se ne sono accorti anche gli inglesi. 
Ecco la notizia: a Roma apre il museo dei videogiochi, Vigamus.
Il museo? Cioè l'unica cosa che siamo in grado di fare con la tecnologia che finisca sulla stampa internazionale è un MUSEO?
Leggo meglio: nel centro di Roma, a due passi dal Vaticano e dai più bei musei della capitale, grazie agli sforzi di un giornalista di videogiochi (tale Marco Accordi Rickards, che non conosco e che assumo animato dalle migliori intenzioni), aprono delle sale dedicate alla storia di questo giovane medium. Le confezioni dei grandi classici del passato, le bacheche con le consolle storiche, un'area interattiva dove provare l'emozione, tutta vintage, del retrogaming.
Marco Accordi dichiara nell'articolo di avere dovuto affrontare enormi difficoltà nell'ottenere fondi e autorizzazioni, dato che tutti i politici e i burocrati cui si è dovuto rivolgere non hanno la minima cultura del mondo dei videogiochi e, nella migliore delle ipotesi, li confondono con i video poker.
Il problema, vien facile pensare, sta tutto qui.
Invece no.
D'accordo, politici e burocrati over sixties non hanno la minima idea di cosa sia un videogioco. Senz'altro ignorano, per ragioni anagrafiche, quale distillato di arte e tecnologia sia un videogame. Più colpevolmente, date le loro responsabilità, ignorano quali opportunità di crescita economica e di sviluppo possa rappresentare l'industria dei videogames per un paese senza risorse, se non quelle intellettuali e imprenditoriali, come il nostro.
Ma il problema sta anche alla base. Perché rivolgersi a questa gente? Perché fare un museo? Perché spendere le proprie energie creative e imprenditoriali per creare l'unica cosa che questa gente capisce, cioè, una teca polverosa? Davvero, perché perdere tempo a fare anticamera? Appena abbiamo accesso alle istituzioni, non sappiamo fare di meglio? 
Magari non è questo il caso, magari Vigamus sarà il perno dell'industria videoludica italiana di domani, ma non avete anche voi la terribile sensazione che siamo prigionieri di un rapporto edipico con le istituzioni? Che abbiamo sempre bisogno di un vecchio padre, di cui lamentarsi, ma a cui chiedere sempre il permesso?